Luci e ombre: Recensione della dott. ssa Valentina Basile
Con la mostra “Luci e ombre” l'artista Lorenzo Basile ci pone dinanzi ad un suo ulteriore passo nell'astrazione. Le opere di questo nuovo ciclo pittorico sono caratterizzate da un uso costante dei colori primari, che si fanno strada con forza sino allo spettatore, sebbene a volte attenuati dalle loro sfumature più tenui, per accompagnare i passaggi da un colore all'altro e da un sentimento all'altro. Gli schemi geometrici del passato, in cui le campiture cromatiche erano spesso ingabbiate da contorni più o meno definiti, ma comunque presenti, di un nero che esaltava ma al tempo stesso rinchiudeva le forme, sono conclusi. Qui al colore viene data libertà di movimento, di mescolarsi con i vicini, di liquefarsi, assecondando la forma della tela, perché anche il formato prevede una novità: compaiono anche le tele circolari, i tondi. Di una forma che da sempre è sinonimo di perfezione e infinito. E allora sono gli stessi colori che sembrano scivolare via dalla tela, come se esplodessero verso l'esterno e inglobassero l'osservatore. La gestualità si fa molto più marcata. Compaiono le colature, i graffi, che dall'espressionismo fanno approdare l'artista all'informale, con qualche influenza pollockiana, di un dripping sobrio e leggerissimo. Ma l'importanza e la spiritualità concessa al colore restano una costante kandiskiana sempre presente. In questa fase ritorna forte anche l'impegno sociale e politico, un po' come fu a suo tempo il fenomeno della Transavanguardia che, dalle installazioni che erano diventate il linguaggio espressivo dominante nell'ambito artistico contemporaneo, ritornavano agli strumenti tradizionali della pittura e ne rivendicavano la soggettiva frammentarietà, frutto di un tempo spezzato a cui neanche l'artista poteva sfuggire. E poi l'importanza data al linguaggio: ogni opera ha un titolo significativo e significante, con il quale l'artista aiuta la trasmissione del messaggio, proprio in funzione dell'impegno sociale. Basile vuole comunicare con il suo pubblico, lasciando spazio a interpretazioni ma non a fraintendimenti. E' il suo racconto. Un racconto fatto di riflessioni su quanto accade nel mondo, ma anche riflessioni sui grovigli interiori. Fenomeno e noumeno convivono nello stesso ciclo pittorico, evidenziando come l'artista si prenda la libertà di vivere l'opera come un unicum e al tempo stesso come tassello del proprio tempo pittorico. Compaiono i graffi, rimandi a un primitivismo a cui l'artista anela ritornare, per arrivare all'essenza, eppure sinonimo di una frattura che non si intende riparare. Non è compito dell'artista, quello. E', piuttosto, il mostrare al mondo le ferite, proprie, del mondo, dell'anima, del tempo. Il metterle davanti agli occhi del pubblico, il non permetter loro di discostare lo sguardo. L'apollineo e il dionisiaco convivono, lasciandosi vicendevolmente spazio per agire. E' sempre al nero che viene dato il compito di tenere l'equilibrio tra le parti ed evitare che i colori scivolino via del tutto. Perché resta comunque presente una solidità compositiva, nonostante tutto. Un non voler cedere completamente alla gestualità, ma in un certo modo filtrarla, addomesticarla. E' così che Basile approda al suo rinnovato stile compositivo, uguale a se stesso eppure nuovo e pronto, ancora una volta, a stupire. Pronto, ancora una volta, a raccontare ciò che Basile è, vive, sente, respira. Affinché noi tutti possiamo avvicinarci un po' di più all'essenza dell'artista. Che è pittura e vita. Colore e gesto. Armonia e contrasto. Perché nulla esiste senza il suo opposto. Né luci, né ombre. Valentina Basile
Valentina Basile [critica d'arte]
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