RASSEGNA D'ARTE CONTEMPORANEA- RESURREXIT
Mostra di pittura
Resurrexit rimanda immediatamente alla mente la Resurrezione di Cristo dopo la crocifissione. Il termine, però, ha un’accezione più ampia e variegata. Rinascita è quella di una persona dopo un periodo buio, della natura dopo l’inverno, di una comunità che si rimette in piedi dopo una calamità che ha portato distruzione e morte. Rispetto alla passione di Cristo, in effetti, la vicenda di Sarno ha qualche elemento in comune: si tratta di una storia di lutto e rinascita. Qui, però, non c’è niente di miracoloso. Si è trattato di un processo lungo, che ha richiesto impegno e, come direbbe Winston Churchill, lacrime e sangue.
Il tema religioso a cui immediatamente si rinvia, però, non è banale, pensando a quanto la religione abbia un ruolo antropologico importantissimo, elemento universale con cui l’uomo identifica ed interpreta la realtà e sé stesso, nonché elemento iconografico ricorrente, da cui non è avulsa neanche la più cinica e relativista arte contemporanea, che sia per adesione, provocazione, protesta o scossa al sistema. Gli artisti in mostra, allora, si sono confrontati con quei vasti universi che la parola resurrezione tiene con sé, arrivando a risultati personali, tutti ugualmente validi. C’è chi ha fatto un riferimento più o meno esplicito alla crocifissione, come Alessandra Cannavacciuolo, Ida Mainenti, Lorenzo Basile, Marianna Battipaglia, Sara Di Costanzo, Vincenzo Piatto, Hylde Salerno, Claudia Milone, Zhena Pranoart.
L’opera Inri di Alessandra Cannavacciuolo è una crocifissione dall’iconografia classica, con il Cristo in croce, la donna piangente e adorante, di cui si avverte tutta la plasticità del corpo attraverso il panneggio delle vesti, lo sfondo accennato in lontananza per dare profondità. La costruzione piramidale induce l’occhio dell’osservatore a focalizzarsi sulla figura di Cristo, la cui santità e rinascita è resa attraverso i bagliori di luce che si dipanano dall’aureola.
Ida Mainenti realizza un’opera dai toni e dalle atmosfere oniriche in cui l’elemento iconografico della croce, simbolo della passione, è circondato e avvolto dal blu, colore predominante della composizione. I colori si espandono e si fanno liquidi, lasciando intravedere il bianco del supporto, quasi come vetrate da cui ci si aspetterebbe di veder filtrare la luce. Il dinamismo compositivo diventa allora la danza continua della vita, in perenne oscillazione tra il dolore e la gioia, la passione e la resurrezione.
Il Cristo risorto di Marianna Battipaglia, che si rifà ad una iconografia consueta, porta ancora vivi dentro di sé il tormento e le sofferenze patite, di cui emblema è la corona di spine. Anche gli occhi, languidi, tradiscono l’umanità della divinità fatta uomo, ma sono proprio quegli occhi a tessere un legame indissolubile con il divino, perché guardano oltre, verso l’immortalità.
La Resurrezione di Lorenzo Basile, invece, con un Cristo stilizzato, macchia cromatica inserita in una forma leggermente accennata, tra le campiture di colore dalle sfumature intense e vivaci, ha il sapore dei Christus triumphans medievali, quando gli artisti rappresentavano il Salvatore non nella sofferenza della morte, ma con gli occhi aperti e gloriosi di chi l’ha già vinta, ascendendo al Regno dei Cieli. È questo per lui il senso della crocifissione.
Iconografia inusuale, invece, per La Madonna con Bambino di Sara di Costanzo. Tutta la narrazione, infatti, procede per simboli e prefigurazioni. L’arco temporale è completamente stravolto. La Madonna già presagisce, infatti, il destino di passione e crocifissione che segnerà la vita del figlio. È la croce da cui scaturisce un rosso fiume sanguigno a testimoniarlo. Allo stesso tempo, però, negli occhi della Madonna non c’è dolore o compatimento. Lo sguardo è fisso sull’osservatore. La mano indica ciò che è avvenuto. Ma, anche in questo caso, si è già oltre. Oltre il dolore. Oltre la passione. Oltre la vita stessa.
Nell’opera di Vincenzo Piatto, dall’emblematico titolo Rialzarsi e vivere, il ciclo della vita viene mostrato nei suoi due estremi: la morte dei corpi lievemente e dolcemente appoggiati al suolo e la nascita, rappresentata dalla maternità. Il passaggio fondamentale è costituito dall’elaborazione del lutto, al quale tutto il paesaggio sembra partecipare, sia nell’aridità del suolo, che nelle gocce di colore azzurro che attraversano e bagnano, come lacrime, tutta la composizione.
La resurrezione di Hylde Salerno è completamente affidata agli sviluppi cromatici, alla stesura omogenea del colore a cui si sovrappongono linee curve ed orizzontali. Il risultato è una composizione in movimento con un andamento ascensionale che accompagna il progressivo schiarirsi dei colori, dal significato simbolico. La parte inferiore, quella del dolore, della perdita, del lutto è affidata a toni cupi, quella superiore è un progressivo riaprirsi alla vita.
Una ferita ricucita, uno squarcio rattoppato, i cui margini sanguinolenti sono ancora visibili, caratterizzano l’opera di Claudia Milone. Ci sono persino dei brandelli bruciacchiati, da cui è possibile vedere le sovrapposizioni di strati e materiali usati dall’artista, come se avessimo accesso alla superficie del corpo e, contemporaneamente, alle interiora. Ma è proprio intorno alla ferita che i colori più vividi e vivaci si concentrano e attraggono l’occhio dell’osservatore. “Ricadere sette volte, alzarsi otto”.
Il volto rappresentato dall’artista Zhena Pranoart è un vortice di grumi materici e sinuosi che assume le fisionomie di quelle maschere africane tanto care agli artisti del ‘900, agli albori dei musei etnografici e delle prime raccolte demoetnoantropologiche. Allo stesso tempo, però, quel suo stagliarsi su di uno sfondo bianco, eccezion fatta per qualche riverbero di colore qui e là, gli conferisce un aspetto assolutamente solenne, quasi sacra sindone rivisitata in chiave contemporanea.
Altri artisti, ancora, intendendo la resurrezione come rinascita, si sono affidati a rappresentazioni floreali, di stampo più o meno classico. È il caso di Anna Pellegrino, Ilenia Crescenzo, Sabrina Ingenito, Benedetta Crescenzo, Myriam Crescenzo, Lorena Esposito.
Vita è il titolo dell’opera di Anna Pellegrino, in cui tutto è primavera e rinascita. Il fiore, la bambina in primo piano, sono tutti inni alla fioritura dell’esistenza. Soltanto la crepa della roccia sullo sfondo funge da monito: la rinascita presuppone una caduta. Lo stesso volto della bambina è un invito alla riflessione. Non c’è gioia pura nel suo sguardo, ma un guardare al di là, sia di ciò che è rappresentato, creando un legame diretto con l’osservatore, sia della vita stessa.
Realizzata con la tecnica dell’acquerello è invece l’opera di Ilenia Crescenzo, che ci mostra una composizione botanica accuratamente realizzata, ma posizionata in un contenitore inusuale. È il cuore il terreno fertile nel quale le piante hanno messo radici. È la sua ricchezza e bontà ad essere il loro nutrimento. È per lui che rinascono rigogliose e fioriscono. È così che il battito individuale di un cuore umano, diventa battito, heartbeat della terra, della natura tutta, in cui le specie si confrontano e convivono.
L’opera Il narciso colorato di Lorena Esposito, realizzata con tecnica mista, vede l’elemento tridimensionale come protagonista dell’intera composizione, andando ad avvolgere, a deformare, quasi ad ingabbiare la tela nella sua morsa, pur ricercando la libertà al di là di essa.
Anche l’opera di Sabrina Ingenito rientra nelle rappresentazioni floreali. Provati, stretti nella morsa tagliente dei rovi, i suoi girasoli, i cui petali di un giallo aspro risaltano nella composizione dai toni neutri e terrosi, riescono comunque, nonostante tutto, ad esaudire la loro vocazione e rivolgersi alla luce del sole. La loro è una rinascita quotidiana.
Nell’opera di Benedetta Crescenzo è soprattutto la figura umana ad esser protagonista. Ci viene mostrata, infatti, una donna anatomicamente ben delineata, la cui forza è espressa dalla tensione dei muscoli e dalla rigidità della posa. La vita in lei si sviluppa, esplode e si espande in maniera tumultuosa, con i tralci che si dipartono dalle caviglie e le si avviluppano intorno, arrampicandosi, fiorendo. La vita va avanti con la sua velocità e le sue regole.
Il fiore salvato di Myriam Crescenzo non occupa il centro della composizione, ma riesce comunque ad essere il centro focale dello sguardo dell’osservatore. Un volto ignoto, di cui si intravedono soltanto pochi dettagli: una parte del naso, la bocca rosea, un piccolo ciuffo di capelli. Il vero soggetto è l’elemento floreale, chiaramente simbolico, tenuto saldamente tra le labbra, come ad indicare che salvarlo ha richiesto tutta la forza possibile.
Di tecniche e stili differenti anche quelle opere che hanno inteso ed interpretato la resurrezione come trionfo della vita sulla morte, come quelle degli artisti Fiore Robustelli, Francesco Sellone, Giovanni Boccia, Loredana Spirineo, Orsola Supino.
Il trionfo della vita per Giovanni Boccia è una eruzione di colore che parte dal basso tumultuoso, dove linee curve e diagonali si scontrano, andando ad esasperare i colori stridenti della composizione e si innalza poderoso verso l’alto, fino alla superficie della tela, quasi con la sfida di superarla e continuare nello spazio dell’esistenza.
L’albero rigoglioso che predomina il centro della composizione dell’artista Loredana Spirineo è testimonianza di una natura accogliente, benevola, generosa, per rimandare al titolo dell’opera. Il paragone con l’albero della vita è immediato. Tutte le acque confluiscono a lui, così come le vite umane in un senso più grande e misterioso. Il risultato è una vitalità che zampilla e si riflette in tutte le delicate sfumature che caratterizzano la fantastica comunione di fiori e foglie coloratissime, di specie diverse, perfettamente integrate le une alle altre
Gli scorci di mare, tanto cari alla produzione dell’artista Francesco Sellone, qui si accendono di un rosso profondo, come il titolo dell’opera suggerisce, indagandone le sfumature, che si fanno intense, quasi fiammeggianti nel cielo, per poi riverberarsi anche sulle acque, che, a loro volta, risentono di quest’atmosfera calda. A separarli, soltanto la linea netta dell’orizzonte.
La rinascita di Fiore Robustelli è affidata a una generazione giovanissima, che, pian piano, nella sequenza a matita, da indistinta nube senza fisionomia, prende forma e consistenza, acquisendo via via materialità. Innanzitutto gli occhi, che, dapprima fissano e scrutano l’osservatore, poi si addolciscono, fino ad esplodere di vitalità nella diapositiva finale, dove il sorriso fa da protagonista.
A chiudere questo ciclo è la resurrezione-rinascita di Orsola Supino, da intendersi come un continuo rinascere e rinnovarsi delle stagioni, dunque della vita. L’opera, in particolar modo, si riferisce a quella che, per antonomasia, è collegata al rifiorire: la primavera, di cui incarna perfettamente lo spirito, sia nella vivacità dei colori, che nei guizzi e nelle luminescenze dei brevi tocchi di pennello alternati a lunghe linee orizzontali, quasi a scandire un diverso scorrere del tempo, fatto di attimi velocissimi ed eterni insieme.
Infine, alcuni artisti, nel loro racconto di rinascita, hanno deciso di riferirsi direttamente alla città di Sarno. È il caso di Alfonso Orza, Michelino Falciani, Ferdinando Salvati.
L’opera di Alfonso Orza si può inscrivere in quel filone dell’arte contemporanea in cui gli oggetti non vengono più rappresentati attraverso l’illusione della realtà, ma è la realtà stessa ad entrare nel dipinto, spogliata dalla sua utilità pratica e rivestita dello status di arte. Allora la Terravecchia che Orza ci mostra è una rappresentazione cubica realizzata con pezzi di legno, che conferiscono alla composizione volume e tridimensionalità.
Le opere di piccolo formato di Michelino Falciani rappresentano, in maniera diversa, due momenti della resurrezione. La prima, Pasqua di Resurrezione, fa riferimento alla resurrezione divina di Cristo, la seconda, Maternità a Sarno, rappresenta una resurrezione continua della vita che alterna alla morte vita nuova attraverso la nascita. E lo fa attraverso composizioni in cui al realismo di alcune figure rappresentate si unisce un colore visionario e un forte simbolismo.
Fango e terra caratterizzano gran parte della composizione di Ferdinando Salvati, ma pochi elementi iconografici, la farfalla, il fiore che, come la leopardiana ginestra, sboccia nelle avversità, bastano a capovolgere il senso della rappresentazione, improntandolo verso una fiduciosa rinascita. In questo modo, Salvati utilizza la tecnica della ceramica per raccontare una storia universale e particolare insieme, come sottolinea la presenza del campanile della chiesa di San Matteo. È la storia della città di Sarno, è la storia di tutti.
Gli artisti in mostra, allora, si sono serviti del mezzo pittorico per riflettere sulla resurrezione nelle sue infinite forme, così, come, prima di loro, artisti di tutto il mondo ed epoche, con stili, voci, linguaggi e scopi differenti. Ma è l’arte stessa a partecipare a questa resurrezione. Tante volte, infatti, si è gridato alla fine dell’arte, alla sua morte più o meno definitiva. Tra negazioni – Hal Foster, ad esempio, parlava di “funerale per il cadavere sbagliato” – e recriminazioni, si può dire che, nonostante tutto, l’arte continui miracolosamente a risorgere giorno dopo giorno, anche grazie a voci come queste, che, unitamente congiunte, contribuiscono al suo continuo rifiorire, anche nelle piccole comunità.
Valentina Basile- critico d'arte
domenica 29 aprile 2018
via De Lise - Sarno - Salerno - Italy
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